Diario di Viaggio
La Giordania è un Paese molto generoso, sempre pronto ad accoglierti e ad offrirti esperienze indimenticabili! E’ sufficiente portare con se tanta curiosità e voglia di avventura…
ma queste sono le prime due cose che noi mettiamo in valigia!
Consigliamo di dedicare almeno una decina di giorni per scoprire tutte le meraviglie di questa terra fantastica!
Ecco come abbiamo fatto noi:
Giorno 1
Usciti dall’aeroporto di Amman ci siamo subito resi conto di essere in una terra completamente diversa dalla nostra, appena ci avviciniamo al ciglio della strada veniamo circondati da 6/7 uomini che cominciano a gesticolare e parlare in arabo, un po’ con noi e un po’ tra loro… dopo alcuni attimi di ansia gli mostriamo l’indirizzo del nostro hotel ad Amman (il Jordan River Hotel) e uno di loro prende i nostri zaini e li carica in macchina, decidiamo di salire anche noi! XD
Dopo circa 1h di viaggio arriviamo davanti al condominio che ospita il nostro Ostello e ne rimaniamo davvero allibiti. Dato che il prezzo a persona era di circa 5€ a notte, non avevamo molte aspettative, tuttavia la facciata del palazzo era davvero disastrosa e pareva completamente abbandonato. Ci facciamo forza a vicenda ed entriamo nell’androne dello stabile, saliamo al primo piano e ci imbattiamo in uno strano negozio di telefonia gestito da un ragazzino di circa 12 anni (abbiamo chiesto informazioni per attivare una SIM Giordana).

Vista su Amman dal Roof Top
TIPS:
Taxi bianco dall’aeroporto ad Amman: 20 JOD (tariffa fissa)
All’aeroporto è possibile prelevare o cambiare denaro contante
Prestando attenzione ad evitare i gradini rotti e i fili elettrici che si inerpicano sui muri come fossero edera, raggiungiamo il secondo piano e la hall del nostro Ostello, dopo qualche minuto di attesa facciamo il check-in e ci viene mostrata la camerata. Un letto era già occupato da un particolare ometto cinese, che, a giudicare della quantità di confezioni di cibo nel cestino dell’immondizia, non è mai uscito da quella stanza in 3 giorni. Posiamo gli zaini, chiediamo qualche consiglio al gestore (persona davvero disponibile e gentile) e usciamo alla scoperta di Amman.
Passeggiando curiosi tra vari vicoli, ripide gradinate e stradine ricche di negozietti raggiungiamo la Rainbow Street, una strada movimentata situata su una collina, qui troviamo un ristorante (VU’s Café) con una splendida terrazza che offre un’ottima veduta sulla città di Amman, mangiamo il pollo con le patate, beviamo un tè e fumiamo una shisha (Narghilè). Dopo aver scattato qualche foto, l’esplorazione notturna di Amman continua, non abbiamo una meta precisa ma lasciamo che sia l’ispirazione a guidarci, camminando per le strade della capitale poco a poco le nostre paure e tutti i pregiudizi che avevamo svaniscono, la gente ci saluta per strada e ci da il benvenuto in Giordania, nessuno ci ferma per vendere insistentemente qualcosa e i negozianti sono disponibili a perdere qualche minuto per rispondere alle nostre domande sui prodotti che non conosciamo. Dopo aver acquistato una spezia contro il raffreddore torniamo all’ostello per un po’ di meritato riposo.
Giorno 2

La Cittadella all’alba
Ore 3:45 del mattino… anzi della notte… abbiamo deciso di svegliarci a quest’ora scellerata per assistere all’Adhān del mattino, una sorta di canto che viene fatta 5 volte al giorno dal Muezzim per richiamare tutti i mussulmani alla preghiera. In punta dei piedi sgusciamo fuori dall’ostello e, nel buio della notte, ci dirigiamo verso la sommità della collina su cui risiede la Cittadella, giungiamo in cima alle 4:20 e qui incontriamo le guardie che presiedono l’ingresso al sito archeologico, gli chiediamo a che ora sia prevista la preghiera e scopriamo di essere ben un’ora in anticipo ( …avremmo potuto dormire ancora un po’…). Stanchi ma rinfrescati dalla brezza mattutina decidiamo di goderci il panorama della dormiente città e scattare qualche foto. Finalmente in lontananza comincia a sentirsi una flebile melodia, via via i megafoni posti sui minareti delle varie moschee cominciano ad accendersi ed ora il canto si fa limpido e travolgente. Rimaniamo qualche minuto ad ascoltare, pur non capendo nulla di quello che viene detto, l’enfasi di quella voce trasmette un senso di tranquillità e sicurezza. C’è anche un’altra cosa che si fa sentire però… sono i morsi della fame, ormai siamo in piedi da più di un’ora e il nostro stomaco esige del cibo!
Scendiamo dalla collina e sulla strada verso l’ostello ci fermiamo per una sana colazione a base di Falafel, Humus, misteriose polpette all’aglio, salsa di ceci, verdure crude e senza condimento, pane arabo e l’immancabile Té alla menta (ancora non sapevamo quanto ne avremmo bevuto durante il nostro viaggio).
Dopo aver consumato quest’abbondante colazione torniamo all’ostello per recuperare l’ora di sonno perduto e aspettare l’apertura delle attrazioni di Amman. La sveglia suona sempre troppo presto, bisogna alzarsi. Ormai la strada per la Cittadella la conosciamo e in poco tempo siamo già alla biglietteria (ingresso 3 JOD), il sito è visitabile in completa autonomia, oppure si può scegliere di ingaggiare una guida, noi decidiamo di fare gli autodidatti e seguendo il percorso giungiamo al tempio di Ercole, di cui si possono ancora ammirare le ultime colonne che hanno resistito al passare del tempo. Dietro al Tempio, poggiate al suolo, rimangono le dita della mano della statua di Ercole, le loro dimensioni fanno subito capire di che stazza doveva essere la statua intera. Nella cittadella osserviamo monumenti di diverse epoche e culture: Romane, Bizantine e Islamiche, il tutto accompagnato da una splendida veduta su Amman. Prima di uscire facciamo un selfie con il Re Abdullah II e poi ci dirigiamo verso il Teatro Romano.
Percorriamo ripide e strette gradinate per scendere dalla collina e ci troviamo in mezzo al traffico di Amman, dinnanzi a noi vi è un’ampia piazza alle cui spalle si erge l’imponente Teatro, facciamo i biglietti e, dopo un breve riscaldamento delle corde vocali, siamo pronti per cantare…. Vooolaaareeee Ohhhh ohh…. gli applausi di incoraggiamento non si fanno attendere.

Selfie con il Re

In cima al Teatro Romano
Tre settori distinti, per un totale di 6.000 posti a sedere
Dopo la nostra performance tocca a una scolaresca di bambini, che, seduti in cerchio sul “Palco”, intonano delle filastrocche. E’ uno spettacolo carino e ce lo gustiamo per qualche minuto prima di visitare il piccolo museo dedicato ai costumi e alle tradizioni del popolo Giordano posto a lato dell’Teatro.
Uscendo dall’Teatro veniamo avvicinati da uno strano signore, non tanto alto, non tanto stretto e con la faccia di un bel rosso acceso, che dopo averci chiesto da dove venissimo, comincia subito a parlare italiano. Si presenta dicendoci di essere una guida e chiedendoci se possiamo essere interessati ad “assumerlo”. Ci consultiamo tra di noi e decidiamo che la Giordania è un paese ricco di storia e di leggende che difficilmente possiamo comprendere da soli, così dopo aver contrattato e gesticolato un po’ troviamo un accordo e ci dirigiamo con la sua macchina verso la nostra prossima meta: la moschea del Re Abdullah I. In prossimità della moschea ci rendiamo subito conto di quanto sia imponente, la cupola blu svetta alta tra le abitazioni circostanti, superata solamente dal minareto, l’ingresso costa 3 JOD, di per se la moschea non ha molto da offrire se non l’architettura moderna e la particolare colorazione bianca e blu, ma con Rehbi (la nostra guida) riusciamo ad approfondire un po’ di più ciò che una moschea rappresenta e le parti che la costituiscono, il pavimento bianco del piazzale esterno alla cupola è decorato da lunghe linee blu, una parallela all’altra che si ripetono ogni metro. Queste linee, quando l’interno della cupola è tutto pieno, servono come guida per i fedeli. Dopo esserci tolti le scarpe entriamo all’interno, il pavimento è un morbido materasso gigante di colore rosso con decorazioni blu, ci sediamo al centro e Rehbi ci illustra tutti i particolari della moschea, in particolare la sua posizione ravvicinata ad una chiesa Copta e ad una Ortodossa
In prossimità della moschea ci rendiamo subito conto di quanto sia imponente, la cupola blu svetta alta tra le abitazioni circostanti, superata solamente dal minareto, l’ingresso costa 3 JOD, di per se la moschea non ha molto da offrire se non l’architettura moderna e la particolare colorazione bianca e blu, ma con Rehbi (la nostra guida) riusciamo ad approfondire un po’ di più ciò che una moschea rappresenta e le parti che la costituiscono, il pavimento bianco del piazzale esterno alla cupola è decorato da lunghe linee blu, una parallela all’altra che si ripetono ogni metro. Queste linee, quando l’interno della cupola è tutto pieno, servono come guida per i fedeli. Dopo esserci tolti le scarpe entriamo all’interno, il pavimento è un morbido materasso gigante di colore rosso con decorazioni blu, ci sediamo al centro e Rehbi ci illustra tutti i particolari della moschea, in particolare la sua posizione ravvicinata ad una chiesa Copta e ad una Ortodossa. Torniamo alla macchina, ci aspetta un lungo viaggio (circa 70 Km) per raggiungere il castello di Ajlun (Qal’At Ar-Rabad), durante il tragitto Rehbi ci bombarda di informazioni (purtroppo è impossibile ricordarle tutte), raccontandoci le leggende della sua terra, pilastro portante della civiltà e della fede Giordana, ripercorrendo la storia dei popoli del passato che l’hanno abitata e delle guerre che hanno rischiato di distruggerla. Dopo circa un’ora e mezza giungiamo al castello, una roccaforte che si erge sulla sommità di un’altura e dalla cui cima si può vedere il verde della valle del Giordano. Beviamo un buonissimo Tè alla menta (forse il più buono di tutto il viaggio), facciamo i biglietti, attraversiamo il fossato su un massiccio ponte di legno ed entriamo nella fortezza! Dopo averci dato qualche dritta Rehbi ci lascia liberi di “Saltare di qua, Correre di là” (Cit. Rehbi), esploriamo il castello di Ajlun, guardiamo delle feritoie, saliamo e scendiamo lungo le gradinate e ci godiamo la spettacolare veduta a 360° dall’alto delle mura, ci immedesimiamo nelle vedette di Saladino che nel passato si appostavano qui per scrutare e proteggere le rotte commerciali verso la fiorente valle del Giordano… Il catello di Ajlun, una roccaforte che nemmeno i Crociati riuscirono ad espugnare.

Jerash
Lasciata la fortezza torniamo verso Amman con la macchina, facendo tappa a una delle più visitate aree archeologiche della Giordania: Jerash, un’antica metropoli famosa per le sue colonne romane, pensate che ne ospita più di 500. Per accedere alle rovine della città bisogna attraversare l’Arco di Traiano posto a sud, percorrere tutto il fianco dell’ippodromo (tutt’ora utilizzato per dare vita a spettacoli con bighe e cavalli) e infine giungere alla vasta piazza ovale, un foro adornato da una moltitudine di colonne disposte su buona parte del suo perimetro, al centro della piazza vi è un piedistallo la cui esatta funzione è in balia di diverse ipotesi. Percorriamo la via principale, il Cardo Massimo, quella più utilizzata dai carri che trasportavano le merci, la nostra guida Rehbi, ci fa notare che, osservando le pietre che compongono la strada, è possibile vedere chiaramente i solchi lasciati dalle ruote che con il tempo ne hanno levigato la superficie. Proseguiamo fino a raggiungere il tempio di Artemide e qui, con la forza di un semidio, ci divertiamo a far muovere una colonna, tranquilli, nulla di pericoloso, la colonna infatti pur pesando migliaia di chili, si trova in una particolare situazione di equilibrio, e spingendo con tutte le forze è possibile farla oscillare di qualche millimetro, un movimento quasi impercettibile ad occhio nudo, ma prestate attenzione al cucchiaino incastrato nella sua base, con grande stupore lo vedrete muoversi. Sempre con Rehbi al nostro fianco vediamo tutte le rovine di Jerash, cercando di accumulare più informazioni possibile, e infine ci concediamo una decina di minuti nel Teatro, in cui due simpatici intrattenitori suonano cornamuse e tamburi intonando inni irlandesi.
E’ ora di tornare a “casa”, Rehbi ci riporta in Ostello e prima di salutarlo decidiamo di ingaggiarlo anche per il giorno successivo. Doccia veloce e si esce a mettere qualcosa sotto i denti (l’ultimo pasto era stata la colazione delle 5), seguendo il consiglio della nostra guida, entriamo un un ristorante niente male, e ci facciamo suggerire dal cameriere qualche piatto tipico. Ordiniamo il Mansaf, una carnosa coscia di pollo o agnello servita su riso bianco e anacardi, accompagnato da una ciotola di latte/yogurt di pecora (molto saporito ma davvero buono) , rinvigoriti da un pasto abbondante torniamo in strada e ci dirigiamo verso il quartiere dei Souq, tradizionali mercati popolari. Tra gli stretti vicoli, le bancarelle di frutta e verdura si incastrano gli uni con gli altri, formando un labirinto di colori e profumi. C’è chi sistema la propria merce sul banco, chi pulisce per terra e chiacchiera con il vicino, le donne velate si spostano da una bancarella all’altra alla ricerca dei prodotti più freschi trascinando i figli che vogliono solo andare a giocare… ma non è finita qua, qualche passo più in là e troviamo anche i negozi dei metalli preziosi, le grandi vetrine sfoggiano una miriade di collane, braccialetti, anelli e accessori di ogni tipo, tutti realizzati in oro o argento, cercando di tenere a bada l’istinto di comprare qualsiasi cosa cominciamo a dirigerci verso l’ostello per trascorrere lì l’ultima notte.
Giorno 3
Buongiorno, è il 24 Dicembre ed è ora di mettersi in marcia, siamo carichi per scoprire qualche cosa in più sulla Giordania, salutiamo il nostro mitico compagno di stanza Cinese e scendiamo in strada dove troviamo Rehbi con il cofano della macchina aperto mentre sta facendo la “revisione”… controllo olio e acqua e siamo pronti per partire. Ci mettiamo in marcia, uscendo da Amman abbiamo modo di vedere i vari quartieri e la gente che li popola, sicuramente una concezione di vita quotidiana molto differente dai canoni europei. Imbocchiamo la Strada dei Re, una antica via mercantile che collegava i principali poli commerciali dell’antico oriente, e dopo circa un’ora di macchina giungiamo alla nostra prima tappa, Madaba, qui ci fermiamo per acquisire qualche informazione su uno dei mosaici più antichi dell’epoca bizantina, una rappresentazione di tutti i centri più importanti della Palestina, un’opera composta da oltre 2 milioni di tessere che è sopravvissuta al terremoto, alla distruzione dei musulmani e del movimento iconoclastico. Purtroppo nella chiesa che ospita il mosaico si sta svolgendo una funzione, quindi non ci è possibile ammirare dal vivo il mosaico. Torniamo alla macchina e ci dirigiamo verso il monte Nebo, secondo le leggende si racconta che fu dalla cima di questo monte che Mosè vide la terra promessa, in punta al monte, oltre la foschia, anche noi riusciamo a scorgere Gerusalemme, la valle del Giordano e tutto il verde che lo circonda. Dopo aver scattato qualche foto riprendiamo il viaggio e raggiungiamo la fonte battesimale di Gesù, lungo la strada, in prossimità del sito, veniamo fermati da alcune guardie armate che sembrano non apprezzare la nostra attrezzatura fotografica, per fortuna, dopo qualche minuto di discussione, Rehbi riesce a tranquillizzarli e permetterci di passare.

Jerash
Parcheggiamo e imbocchiamo un piccolo sentiero che attraversa una fitta vegetazione, camminando in fila indiana giungiamo finalmente alla fonte battesimale di Gesù e, subito dopo, sulle rive del Giordano. Dall’altra sponda, a circa 6/7 metri da noi, è già Israele, sembra quasi di poter attraversare il confine con un semplice balzo. Torniamo alla macchina e riprendiamo il viaggio, prossima tappa: Mar Morto e Hotel. Giungiamo sulle rive del Mar Morto intorno alle 4 del pomeriggio e, dopo aver posato i nostri zaini all’hotel ed esserci accordati con Rehbi per passare insieme ancora il giorno successivo, ci dirigiamo verso la spiaggia. L’accesso alla spiaggia costa 20 JOD, tutt’altro che economica, però qui si può provare l’ebrezza di fare il bagno nel mare più salato del mondo, la presenza di 300 grammi di sale per ogni litro d’acqua, ne aumenta la densità, permettendo di galleggiare senza alcuna fatica, davvero un’esperienza da fare, ma occhio agli schizzi, basta una goccia negli occhi per provocare un bruciore molto forte (risciacquare il prima possibile con acqua dolce). Stanchi, affamati e disidratati torniamo all’hotel e dopo una bella doccia possiamo mettere finalmente qualcosa sotto i denti, riusciamo ad ottenere uno dei tavoli sulla terrazza (in realtà sono tutti liberi perché siamo gli unici ospiti dell’hotel), con il vento tra i capelli possiamo finalmente consumare il cenone della vigilia di Natale. Mega vassoio con riso e anacardi e una bella padellata di pollo con pomodori e patate, nemmeno 2 minuti e abbiamo già divorato tutto, d’altronde è stato l’unico pasto di una giornata senza sosta. Ci godiamo ancora un po’ la brezza e la vista sul mar morto sorseggiando il tè, i gestori dell’hotel ci insegnano a sistemare la Cufia con lo stesso stile del Re Abdullah, scattiamo qualche foto insieme a loro e ci ritiriamo nella nostra stanza per recuperare un po’ di energie.
Giorno 4

Jerash
E’ Nataleeeee!!! Appena svegli diamo un’occhiata in giro per la stanza ma niente… probabilmente Babbo Natale non passa dalla Giordania per lasciare i regali!
Prepariamo gli zaini e scendiamo a fare colazione, uova, humus, formaggini, crema di ceci (credo…spero), pane arabo, tè e caffè, mangiamo in abbondanza, consapevoli che probabilmente sarà l’unico pasto fino a sera. Come al solito il nostro fidato Rhebi è già lì che ci aspetta, pronto a partire. Salutiamo i gestori dell’hotel e partiamo alla volta della fortezza inespugnabile di Al-Karak. Per raggiungerla costeggiamo il Mar Morto e attraversiamo la riserva del Wadi Mujib, dove d’estate è possibile fare un bellissimo trekking lungo le acque del torrente che scorre nel canyon, purtroppo noi non possiamo affrontare questa avventura perché il sito è chiuso. Raggiungiamo Al-Karak, una fortezza davvero imponente che si staglia sulla cima di un’altura, le sue mura si fondono con i fianchi del monte rendendo un eventuale assedio davvero difficoltoso se non impossibile. Una volta fatto il biglietto ci addentriamo tra le sale e i cunicoli della fortezza, Rhebi ci spiega le cose principali e poi ci lascia esplorare per conto nostro, ci arrampichiamo sulle mura e da lì, tra le montagne, riusciamo a scorgere il Mar Morto. Tornati in macchina ci rimettiamo in marcia, la prossima tappa sarà l’accampamento in cui trascorreremo le prossime due notti: Seven Wonders Beduin Camp.
Simpatico Rhebi, questo è un’addio, da qui in poi dovremo cavarcela da soli, grazie per averci narrato tutte le leggende che fanno parte della cultura giordana, a presto!
Salutato il nostro compagno di avventura, entriamo nell’accampamento che sorge ai piedi di una grossa roccia alta circa 20 metri. E’ ora di cambiare stile alla nostra Cufia, fuori dalla città il look beduino va molto di più! Dato che i beduini stavano andando in paese, riusciamo a farci dare un passaggio fino a Little Petra. Little Petra è un sito gratuito che offre un piccolo anticipo di ciò che ci aspetta a Petra, si sviluppa all’interno di un lungo canyon ai cui lati sono scolpite le strutture Nabatee, vale davvero la pena spenderci un paio d’ore in completa libertà arrampicandosi qua e la. Soddisfatti della visita ci incamminiamo nuovamente verso l’accampamento, ci aspetta una buona mezz’ora di marcia. Riusciamo ad arrivare in tempo per salire sulla piccola montagna vicino all’accampamento a goderci lo spettacolare tramonto del sole e a scattare qualche foto. Scesi all’accampamento è finalmente ora di mettere qualcosa sotto i denti e bere un po’ di tè caldo, qui, per nostra immensa gioia, la cena è davvero abbondante, sempre a base di riso, pollo, humus, ceci, ecc.., ma abbondante. Soddisfatti per l’abbuffata ci prepariamo per andare a Petra ad assistere allo spettacolo di luci davanti al Tesoro. Dalla biglietteria percorriamo un lungo sentiero che si snoda attraverso un canyon formato da alte pareti rossastre, la via è illuminata da piccole fiaccole e dal chiarore della luna, una passeggiata davvero suggestiva. Continuando a camminare, improvvisamente, tra le rocce, davanti a noi si palesa, in tutta la sua imponenza, la facciata dell’opera più famosa di Petra: Al-Khazneh al Faroun, il Tesoro del Faraone. Restiamo ammutoliti per qualche secondo, tutta la parete della montagna è stata scavata a mano per dare forma a quest’opera d’arte antica. Appena torniamo lucidi non perdiamo tempo e cominciamo a fare foto su foto, nella speranza di riuscire a cogliere la magia di questo momento. Dopo pochi minuti un canto si eleva sul chiacchiericcio della gente, ci sediamo sulla sabbia e ci godiamo lo spettacolo. Una serata davvero magica, ora possiamo tornare all’accampamento, domani ritorneremo a Petra per visitarla nella sua interezza, meglio riposare un po’.
Giorno 5
E’ l’alba, come al solito cerchiamo di non perdere nemmeno un minuto prezioso, fortunatamente la colazione è già disponibile e sappiamo di dover mangiare il più possibile per affrontare la lunga giornata che ci aspetta. I beduini ci accompagnano fino alla biglietteria, dove il prezzo per l’ingresso è tutt’altro che economico. Percorriamo nuovamente il lungo canyon, ma ora, con la luce del sole che comincia ad alzarsi, possiamo ammirare molti più dettagli, come i resti della pavimentazione romana e il sistema di trasporto dell’acqua scavato nella roccia che accompagna il sentiero. Eccoci davanti al Tesoro, nello stesso punto di ieri ma con un’altra atmosfera, tra cammelli e asini, turisti e locali, sembra di essere ad un mercato, c’è chi chiede dei soldi e chi si propone di farti da guida. A sinistra della facciata del Tesoro, c’è un’irto sentiero che conduce sulla montagna di fronte, saliti fin qui possiamo ammirare dall’alto tutta la facciata. Scendiamo proseguiamo lungo la strada a destra accedendo ad un’ampio spazio aperto in cui vi sono diverse bancarelle, il teatro romano e i resti delle abitazioni nabatee addossate al crinale della montagna, più avanti, sulla destra, parte un sentiero che conduce alle tombe reali, affrontiamo numerosi gradini accompagnati da un gregge di capre e i loro 3 cani pastori. Alla fine del sentiero giungiamo nuovamente su un’altura posta di fronte al Tesoro, la vista è mozzafiato. Scendiamo dalla rupe e percorriamo il viale principale di Petra, ai cui lati ci sono ancora alcuni resti delle colonne romane, passiamo davanti al Grande Tempio e alla chiesa Bizantina, attraversiamo l’arco e imbocchiamo la ripida e stretta strada che conduce al monastero. La salita è piuttosto lunga e impegnativa, dobbiamo fare attenzione agli asinelli che corrono giù per il sentiero e a quelli che salgono trasportando i turisti. La fatica viene alla fine compensata dalla magnifica vista del monastero, decisamente massiccio e monumentale. Decidiamo di godere della sua vista fumando una shisha nell’unico bar che c’è lì sopra. Recuperate un po’ di energie ci viene in mente di affrontare una sfida estrema: raggiungere Little Petra a piedi attraversando le montagne percorrendo un antico sentiero sconosciuto ai turisti, chiediamo qualche informazione ai gestori del bar che ci consigliano vivamente di cambiare idea, ma ormai siamo carichi e decisi a rendere indimenticabile questa giornata. Ci dirigiamo verso il lato della montagna che dovremo aggirare e lì incontriamo un anziano signore a cui proviamo a chiedere qualche informazione sulla sentiero da percorrere, pur non parlando inglese ci indica con il bastone una roccia sporgente e ripete “Little Petra, Little Petra”, per noi è sufficiente, quella è la direzione da seguire. Dopo circa un’ora di marcia cominciamo a preoccuparci, le montagne impediscono la vista e confondono l’orientamento, tornare indietro però è impossibile, decidiamo di farci coraggio è continuare a camminare. Su un’altura di fronte a noi scorgiamo una piccola tenda, ma al nostro arrivo non c’è nessuno a cui poter chiedere informazioni, tuttavia lì vicino si intravede un sentiero, possiamo proseguire. Il sentiero ci conduce ad una stretta strada sterrata, percorrendola veniamo affiancati da un fuoristrada che, incuriosito, si ferma per chiederci chi fossimo e da dove arrivassimo, ne approfittiamo per chiedergli qualche indicazione su come raggiungere Little Petra e un’ora dopo, attraversando un accampamento di pastori, la raggiungiamo, finalmente, ce l’abbiamo fatta, esausti e assetati ci dirigiamo verso l’accampamento Seven Wonder dove, dopo aver mangiato cena e bevuto una decina di tè riscaldati da una stufa improvvisata posta al centro della tenda/salotto, ci addormentiamo in pochi istanti
Giorno 6
Eccoci, è giunto il momento di salutare l’accampamento beduino per dirigerci verso il deserto del Wadi Rum. Per il tragitto abbiamo trovato un taxista davvero particolare, parla davvero bene l’inglese ed è molto carismatico. Verso le 10 del mattino raggiungiamo finalmente il piccolo villaggio che fa da ingresso al Wadi Rum, qui paghiamo 5Jod per l’accesso al deserto e incontriamo uno dei ragazzi che ci avrebbe accompagnato nella nostra avventura nel deserto, Fahadi. Ci fa salire nel suo fuoristrada e ci porta a casa di Mehedi, il capo della combriccola. Poco prima ci eravamo resi conto di non poter pagare nulla con la carta di credito e i contanti che ci sono rimasti non erano sufficienti per coprire l’importo totale, parliamo con Mehedi di questo problema, ma lui, con una calma imperturbabile ci dice di non preoccuparci e di bere una tazza di tè insieme a lui e ai suoi compagni. Finito il tè uno di loro carica i nostri zaini sulla macchina e parte, mentre un’altro, Ibrhaim, ci conduce verso i cammelli. Sono 4, uno a testa, uno diverso dall’altro e ognuno con un carattere diverso (quello di Sceu non sta zitto un attimo!). Fino alla prima tappa viaggiamo legati in carovana al cammello della nostra guida. Il Wadi Rum oltre ad essere un deserto di una bellezza disarmante, colorato da una sabbia rossa e adornato da alti massicci rocciosi, è famoso anche per essere stato il terreno su cui si sono compiute le gesta di Lawrence d’Arabia (vi consiglio di reperire qualche informazione al riguardo). Raggiungiamo la sorgente di Lawrence, unico posto in cui qualche ciuffo d’erba e un alberello riescono a prevalere sulla arida sabbia e sull’arsura del deserto. Scendiamo dai cammelli, esploriamo la zona, scattiamo qualche foto e ci rimettiamo in marcia. Ora siamo noi a guidare i cammelli, Ibrahim ci spiega come fare e quali sono i comandi per dirigerli, scopriamo che i cammelli sono animali davvero intelligenti con cui bisogna comunicare a voce, la parola che usiamo più spesso è “hutc” “hutc”, che vuol dire “veloce” “veloce”, e poi “jalla” “jalla”, “andiamo” “andiamo”. Alternando galoppo e passo, raggiungiamo la seconda tappa del tour, la duna rossa, via le scarpe e si corre a piedi nudi fino in cima alla morbida e soffice duna, arriviamo su con il fiatone, non sembrava così alta a vederla da sotto, ma il panorama compensa la fatica. Il deserto si allunga sotto il nostro sguardo, si nasconde dietro i massicci rocciosi per spuntare un po’ più in là, il cielo si fonde con la superficie della sabbia riscaldata dal sole e il vento muove la sabbia per confondere chiunque si avventuri in questo regno senza essere preparato. Corriamo giù dalla duna a tutta velocità, con i piedi che sprofondano nella sabbia fine. Rimontiamo sui nostri ormai fidati cammelli e ci dirigiamo verso un canyon poco distante, il Khazali Canyon, in cui si possono ammirare alcune pitture rupestri. Seduti all’ombra di un masso, mettiamo qualcosa sotto i denti, una scatoletta di tonno, un cetriolo e un pomodoro, Ibrahim accende un fuocherello e mette l’acqua a bollire, ovviamente una tazza di tè non può mancare. Fatto pranzo possiamo riprendere la marcia, ci aspettano ancora alcuni chilometri da percorrere per raggiungere l’accampamento, Ibrahim comincia ad intonare una canto e il soporifero ciondolio della marcia dei cammelli rende il momento davvero magico ed irreale. Raggiungiamo l’accampamento, salutiamo i cammelli e ringraziamo di cuore Ibrahim per la magnifica giornata, all’accampamento incontriamo il nostro prossimo amico e guida Mohammed, un ragazzo di 23 anni a cui piace molto fumare. Prima della cena abbiamo ancora un po’ di tempo per girovagare tra le rocce in completa libertà, attraversiamo una distesa di sabbia per raggiungere e scalare una piccola montagna, la postazione ideale per vedere il tramonto del sole. Niente stress, niente traffico, nessun vicino chiassoso o televisioni tenute ad un volume troppo alto, nessuna preoccupazione e niente orario. Soltanto la silenziosa pace del deserto e il sole che si nasconde all’orizzonte. Quanta magia in questo posto. I nostri stomaci cominciano a brontolare, facciamo ritorno al campo appena in tempo per assistere al disseppellimento della nostra cena. Sì, la nostra cena è sotto la sabbia! Stiamo per mangiare lo Zaarb, una tipica pietanza cucinata dei beduini nel deserto, a base di carne e verdure. Dopo cena, con un po’ di sorpresa, veniamo sfidati ad un gioco molto simile a scala Quaranta da Mohammed e Fahadi, non ricordo chi abbia vinto.
Giorno 7
Secondo giorno nel deserto del Wadi Rum, siamo già innamorati di questo posto. Aiutiamo Mohammed a caricare coperte e stuoie sul Pick-up e partiamo alla volta del cuore del deserto, sul cassone del fuoristrada ogni buca ci fa sobbalzare e il vento spettina i nostri capelli riempiendoli di sabbia. Non possiamo essere più felici, il Wadi Rum ci sta regalando proprio l’avventura che cercavamo. Mohammed ci porta a vedere le principali attrazioni del deserto: un secondo sito in cui sono state rinvenute pitture rupestri, un enorme fungo di roccia scavato dal vento e la casa di Lawrence d’arabia. Nel pomeriggio ci fa scendere dalla jeep vicino ad un canyon, e ci dice che se vogliamo diventare dei veri beduini dobbiamo riuscire ad attraversarlo, lui ci aspetterà dall’altra parte. Accettiamo la sfida e con mezza bottiglietta d’acqua ci dirigiamo verso il canyon. All’ingresso c’è un albero secco che trasmette un po’ di timore e insicurezza, proseguiamo, man mano che avanziamo le rocce si stringono attorno a noi obbligandoci a camminare in fila indiana, poco più avanti la strada è bloccata da alcuni massi, bisogna arrampicarsi e scavalcarli. Dopo aver superato questo ostacolo continuiamo a camminare tra le alte pareti, ci sembra di essere in un film. Continuando a camminare saliamo su una duna di sabbia e il canyon comincia poco a poco ad allargarsi, giunti in cima alla duna possiamo scorgere Mohammed che ci aspetta all’ombra del suo Pick-Up.
Gli stomaci cominciano a brontolare, tutta questa adrenalina ci ha messo fame, Mohammed decide di portarci a conoscere un vero beduino del deserto, un’anziano che alleva e vive con le sue capre nel deserto, suo Nonno! Appena arrivati rimaniamo sbalorditi! Tra le rocce c’e solo una piccola tenda che si tiene in piedi per miracolo, i bastoni che la sorreggono spuntano qua e là dal telo e tutt’intorno ci sono pecore che scorrazzano libere. Mentre scendiamo dalla macchina il nonno di Mohammed esce dalla tenda e si avvicina per salutare suo nipote, gli stringiamo la mano e ci invita subito ad entrare nella tenda per bere un tè. Da dietro un telo, che divide la tenda in due spazi separati, esce una signora anziana con un ragazzino, sono la nonna e il cugino di Mohammed. Il nonno ci fa segno di accomodarci sui cuscini pieni di sabbia posti per terra, intorno a quelli che sembrano i resti di un piccolo fuocherello, prende uno strumento e comincia a suonare una stridente melodia che ricorda i tipici suoni arabi, è contemporaneamente fastidioso ed orecchiabile. La nonna porta qualche legnetto, accende un piccolo fuoco in mezzo a noi, mette l’acqua del tè a bollire e va dall’altra parte a preparare il pranzo. Ci sentiamo un po’ a disagio, non abbiamo nulla da poter offrire a queste persone che ci stanno accogliendo con tanta naturalezza. Cerchiamo di comunicare a gesti con il nonno di Mohammed fino a che non dice qualcosa al nipotino, il ragazzino svelto si alza e corre verso un mucchio di coperte, scava un po’ ed estrae un fucile, noi, per un secondo, rimaniamo attoniti, poi lo consegna a Mohammed che ci spiega che quello è il fucile con cui il nonno va a caccia e protegge il suo gregge. Notato il nostro entusiasmo il ragazzino corre nuovamente a cercare tra le coperte, ed in pochi secondi ecco un altro fucile. Mohammed si lascia scattare qualche foto con il fucile in mano mentre mira a chissà cosa tra le rocce. Finalmente il pranzo, ringraziamo tantissimo la Nonna e cominciamo a mangiare insieme a loro. Il pranzo è frugale, giusto una minestra di pomodori con qualche fagiolo e cipolla, ma non potevamo chiedere di meglio, è il cibo ideale per la situazione in cui ci troviamo. Dopo pranzo salutiamo e ringraziamo tutti per l’ospitalità, saliamo sul cassone del pick-up e siamo pronti per la prossima avventura. Dopo qualche minuto raggiungiamo un posto in cui ci sono diversi fuoristrada, sembra quasi il ritrovo di una gara clandestina. Mohammed ci spiega che quello è un luogo abbastanza famoso e turistico, caratterizzato dalla presenza di uno spettacolare arco naturale in pietra, il March Arch, salire sull’arco è abbastanza semplice, ma bisogna prestare attenzione perché scivolare è un’attimo! Da sopra l’arco ci si rende conto di quanto sia effettivamente alto e il fatto che non ci sia alcun tipo di protezione lo rende ancora più bello ed incontaminato (anche se molto pericoloso). Ormai il sole comincia a dirigersi verso l’orizzonte, insieme a Mohammed dobbiamo ancora cercare un riparo in cui trascorrere la notte, questa volta non dormiremo dentro una tenda, ma sotto il cielo stellato. Dopo un paio di tentativi troviamo una parete rocciosa che fa al caso nostro, si vedono i segni di qualcuno che ha già bivaccato lì in precedenza, la roccia è annerita dal fumo di un falò e a terra ci sono i resti del focolare. Sistemiamo stuoie e sacchi a pelo. Il tempo è tiranno, ora dobbiamo cercare qualche arbusto per il fuoco e un posto adatto per assistere al nostro secondo e ultimo tramonto del sole nel deserto del Wadi Rum. Appena avvistiamo un’arbusto Mhoammed lo investe con il pick-up e lo carichiamo sul cassone insieme a noi, è una scenetta abbastanza comica a dire il vero, alcuni arbusti non ne vogliono sapere di abbandonare le proprie radici, d’altronde nel deserto del Wadi Rum si sta davvero bene. Raccolta legna a sufficienza per cucinare troviamo un grosso masso su cui riposarci in attesa del tramonto, che non tarda ad arrivare e a regalarci un altra bellissima emozione, siamo noi 3, anzi, con Mohammed che ormai è diventato nostro amico, siamo noi 4, il mite deserto, la dura roccia e il sole che, stanco, sta lasciando il posto all’oscurità e al freddo. Torniamo al bivacco e mentre Mohammed si trasforma in uno chef stellato noi accendiamo il fuoco. Quanto era buono quel pollo! Il mix di spezie in cui Mohammed lo ha impanato l’ha reso croccante e saporito, ma senza esagerare, la carne morbida si arrende ai nostri affamati morsi e si adagia sulla nostra lingua, che non vede l’ora di accompagnare il boccone allo stomaco, ma allo stesso tempo non riesce a rinunciare al piacere di assaporarne il gusto. In pochi attimi la cena è finita e a noi non rimane che lo stomaco pieno e il disappunto di averla mangiata con troppa foga. Facciamo qualche partita a carte e chiacchieriamo del più e del meno con il nostro nuovo amico, ha 23 anni e si è sposato da poco, lavora per Mehedi già da un po’ e adora vivere nella pace del deserto, non facciamo fatica a credergli, questo è un posto magico, pieno di pace e libertà. Tra un racconto e l’altro le palpebre cominciano a farsi pesanti ed uno alla volta ci arrendiamo al dolce cullar del sonno.
Giorno 8
E’ mattino, mentre Mohammed russa spensierato sotto le coperte, noi ci appostiamo per scattare qualche foto all’alba che colora di rosso e arancione tutto il cielo. Appena la nostra guida si alza accendiamo il fuoco e ci beviamo un bel tè caldo, poi, senza perdere tempo, raccogliamo tutte le nostre cose, le coperte e ripartiamo con il fuoristrada. L’ultima tappa del Wadi Rum è il Burdah Arch, un arco in pietra situato sulla sommità di una montagna, ci aspetta una bella camminata!
Ai piedi della montagna Mohammed si toglie i sandali e indossa delle buffe scarpe da ginnastica, scarpe che hanno visto sicuramente giorni migliori. Capiamo che ora si comincia a fare sul serio. Con lui in testa cominciamo a salire con passo deciso, non c’è un vero e proprio sentiero da seguire e spesso dobbiamo aiutarci con le mani per affrontare i passaggi più ripidi. Dopo circa 1 ora di marcia raggiungiamo il nostro obiettivo, il Burdah Arch si palesa davanti ai nostri occhi in tutta la sua maestosità, una enorme pietra sospesa nel cielo tra un altrettanto massiccio masso e la parete della montagna, un arco naturale che intimorisce al percorrerlo, largo poco più di un metro e mezzo, posizionato all’altezza giusta per far venir le vertigini anche a chi non ne soffre. Lo attraversiamo avanti e indietro, più e più volte, da sotto Mohammed ci saluta contento sdraiato su una pietra a fianco di un’altra guida che ci aveva raggiunto insieme ad altri due italiani. Davvero bello il Burdah Arch! Una volta soddisfatti degli scatti e del panorama ci avviamo verso un nuovo sentiero per affrontare la discesa, più ripida e più veloce della salita. In meno di un’ora siamo nuovamente ai piedi della montagna, dove ci aspetta il nostro fidato fuoristrada. Prima di partire però, beviamo una tazza di tè insieme all’altra guida e ai due ragazzi italiani, scambiandoci le proprie opinioni su questo Paese tanto bello ed ospitale, siamo contenti di scoprire che anche per loro si sta rivelando un viaggio unico ed emozionante. Saliamo sul Pick-up e ripartiamo. Purtroppo dobbiamo dire addio al Wadi Rum, questa era la nostra ultima tappa, nonostante siano passati meno di 3 giorni, sono stati più che sufficienti per farci affezionare a quel deserto pieno di misteri e di avventure. Ci godiamo gli ultimi sobbalzi del fuoristrada, gli ultimi granelli di sabbia tra i capelli e il rumore delle ruote che mordono le dune, in poco tempo giungiamo al villaggio e alla casa di Mehedi. Ci sono tutti ad aspettarci, Fahadi, il ragazzo con cui abbiamo giocato a carte la prima sera, Ibrahim, l’addestratore di cammelli, il cuoco dell’accampamento, Mehedi, nel suo vestito nero e con tanto di cappello, ed insieme a noi anche Mohammed. Questo team ci ha regalato un’esperienza davvero indimenticabile nel deserto del Wadi Rum, in pochi giorni ci ha fatto innamorare di questo posto e della pace che trasmette. Dopo aver bevuto un’ultima tazza di tè saliamo sul taxi di un loro amico e partiamo alla volta di Aqaba, dove speriamo davvero di riuscire a prelevare qualche soldo. Dopo circa un’ora di macchina arriviamo in città, passare dalla tranquillità del deserto al caos di Aqaba ci mette un po’ di tristezza, ma finalmente riusciamo a prelevare. Lasciamo i soldi per Mehedi al taxista e ci dirigiamo verso l’Amer Hotel. Appena arrivati il titolare si scusa perché ha un problema con il gas della cucina e non riesce ad offrirci il tè, ci chiede di aspettare un secondo poi esce e va al bar a fianco, dopo qualche minuto torna con tre tazze di tè rovente alla menta, ringraziamo e beviamo, stupiti ancora una volta della quantità di persone gentili e disponibili che continuiamo ad incontrare qui in Giordania. Dopo aver bevuto il tè veniamo accompagnati in stanza per posare i bagagli. Scendiamo alla reception e chiediamo al titolare qualche consiglio per fare il bagno e un po’ di snorkeling nel mar Rosso, in pochi secondi ci chiama un taxi che ci accompagna in un negozio in cui affittano tutto l’occorrente. Con maschere, boccaglio, mute e pinne siamo pronti per fare un bel tuffo e vedere la barriera corallina. Purtroppo il sole è coperto dalle nuvole e l’acqua non è per niente calda, per fortuna abbiamo le mute e riusciamo comunque a goderci la nuotata. Pesci, coralli e qualche medusa, la barriera è sempre interessante da osservare. Restiamo un po’ in spiaggia ad osservare la gente e a guardare lo stato di Israele e l’Egitto che, uno attaccato all’altro, si mostrano dall’altra parte del mare. Torniamo in hotel e, dopo tre giorni di sabbia, sudore e polvere, ci concediamo finalmente una bella doccia calda. Lavati e puliti siamo pronti per uscire! Il bagno nel Mar Rosso ci ha messo fame. Gironzolando qua e là per le strade troviamo un ristorante che ci ispira, i prezzi sono onesti e il cibo sembra buono. Dopo cena continuiamo la nostra passeggiata lungo i marciapiedi che costeggiano la strada principale, a dire il vero non c’è molto da vedere, così decidiamo di andare a dormire un po’ prima e di recuperare le energie.
Giorno 9
Purtroppo questo è il nostro ultimo giorno in Giordania, questa sera alle 18:00 ci aspetta il bus che ci porterà all’aeroporto di Amman. Il titolare dell’Amer Hotel ci dice che possiamo lasciare i bagagli in Hotel fino a stasera, in modo da poterci muovere per Aqaba liberamente.
Dato che abbiamo quasi tutto il giorno da trascorrere ad Aqaba ci dirigiamo a piedi verso il quartiere dei Souq, decidiamo di goderci una giornata di relax, oggi niente fretta e nessuna meta precisa. Facciamo colazione con un’abbondante spremuta di melograno, dolce ed aspra al punto giusto. Passeggiamo a lungo tra le varie bancarelle dei souq, compriamo qualche spezia e qualche souvenir. Ci fermiamo davanti ad una pescheria gestita da un ragazzo poco più giovane di noi, è ora di pranzo e come al solito siamo affamati, notiamo che all’esterno c’è un barbecue e proviamo a chiedergli se possiamo mangiare qualcosa. Grazie a google traduttore ci spiega che possiamo scegliere qualsiasi pesce esposto sul banco e lui lo cucinerà al momento, abbiamo già l’acquolina in bocca. Dopo qualche minuto sulla fiamma il nostro pranzo è pronto, ci viene servito su un vassoio di carta (come quello delle paste dolci), le posate non sono contemplate. Questi pesci sono buonissimi, poche lische e tanta carne, ma ancora meglio è il loro prezzo, spendiamo circa 3 Jod a testa, davvero poco. Soddisfatti per l’eccellente pranzo riprendiamo la nostra passeggiata per Aqaba e senza accorgercene sono già le 17:00. Ritorniamo all’Hotel, recuperiamo i bagagli, salutiamo il gestore e ci dirigiamo alla stazione dei Bus, facciamo i biglietti e partiamo alla volta di Amman. Dopo poco più di 4 ore raggiungiamo l’aeroporto, facciamo il check-in alle macchinette e ci mettiamo a dormire in attesa del volo del mattino seguente.
Giorno 10
Con la schiena a pezzi per aver dormito sul pavimento dell’aeroporto ci imbarchiamo per tornare a casa e concludere, così, la nostra magnifica esperienza in Giordania, una terra in cui abbiamo incontrato tante persone gentili e curiose nei confronti dei turisti, sempre pronte e disponibili a dare informazioni e consigli. Sono stati 10 giorni ricchi di emozioni e avventure, in cui abbiamo sfruttato ogni minuto a nostra disposizione per cercare di non perderci nulla di questo posto così diverso dall’Italia. E’ stato un viaggio faticoso, sì, ma ha saputo regalarci ricordi che ci porteremo nel cuore.
As-Salam Aleikum